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Ferrari amava definire sé stesso come "agitatore di uomini". E per agitare i suoi uomini, che si trattasse di ingegneri, piloti, meccanici o semplici manovali della fabbrica di Maranello, non badava se era momento di riposo o di lavoro, notte o giorno, domenica o tempo lavorativo. La leggenda racconta che Enzo Ferrari fece impostare la 500 F2 al suo direttore tecnico, Aurelio Lampredi, in piena domenica, sostenendolo con panini e lambrusco e standogli addosso come un mastino per "agitare" il suo ingegno. Non fu uno sforzo vano, perché la macchina che ne uscì aveva la meravigliosa capacità di coniugare semplicità, raffinatezza meccanica e robustezza. Pertanto non sorprende se, nelle mani del talento Alberto Ascari, la 500F2 letteralmente ammazzò il mondiale di Formula 1 nel 1952 e nel 1953, portando a Ferrari i primi 2 mondiali della sua storia.
E l'urgenza di mettere sotto Lampredi anche nel settimo e festivo giorno della settimana, rispondeva alla necessità di reagire il più velocemente possibile ai cambiamenti regolamentari imposti dalla FIA, aspetto in cui Ferrari brillerà anche in altre occasioni della sua storia: mentre gli altri costruttori discutevano e si accapigliavano con i dirigenti sportivi, lui metteva sotto i suoi uomini e una volta che la parola doveva passare alle macchine, quelle con il cavallino erano solitamente in avanzo rispetto agli avversari.
In quel 1951, nella seconda stagione della sua storia, il Campionato Mondiale di Formula 1 era già ad un'importante bivio: vivere o morire. La ripresa economica in Europa a seguito della seconda guerra mondiale stava appena facendo sentire i primi effetti positivi ed erano pochi i costruttori in grado di sostenere gli ingenti costi del mondiale. Oltre tutto l'imbarazzante dominio dell'Alfa Romeo aveva annichilito ogni possibilità di contrasto. Soltanto Enzo Ferrari si era dimostrato abbastanza cocciuto da sostenere la sfida con il biscione, arrivando nel corso del 1951 ad insidiarne la leadership con la prima vittoria in un Gran Premio, a Silverstone, grazie al corpulento Froilan Gonzalez. Alberto Ascari aveva poi aggiunto due ulteriori successi vincendo il GP di Germania e quello d'Italia e contendendo il titolo a Fangio. Davanti a queste vittorie internazionali va rilevata la straordinaria capacità di Enzo Ferrari nel gestire le scarse risorse economiche derivanti da un'attività artigianale in confronto agli alti costi richiesti dalle corse. Quando le Ferrari si mettevano dietro le Alfa Romeo era veramente la vittoria di Davide contro Golia. Comunque l'Alfa scelse il momento giusto per ritirarsi dalle corse, si disse "per manifesta superiorità", e questo non fece che aumentare la crisi del campionato.
La FIA fu quindi obbligata ad adottare il più semplice regolamento tecnico della Formula 2 per la massima serie, confidando che i minori costi avrebbero attratto altri costruttori. Il nuovo regolamento prevedeva l'adozione di motori da 2.000 cc aspirati, oppure da 500cc compressi, misura che escludeva automaticamente il ricorso a quest'ultima soluzione. La normativa avrebbe avuto valore solo per le stagioni '52-'53, mentre dal '54 era prevista una nuova Formula 1 più impegnativa, con motori da 2.500 cc aspirati o da 750 cc compressi, contando sul fatto che nel frattempo i costruttori avrebbero potuto trovare le risorse economiche necessarie ad impegnarsi in grande stile.
Vista l'opportunità di proporsi ai vertici della categoria, Enzo Ferrari aveva tutte le ragione nell'assillare il suo progettista, anche perché si era perso parecchio tempo nel discutere quale architettura di motore adottare: si era partiti dall'idea di utilizzare il 12 cilindri 1.500 compresso come base, alzandone la cilindrata a 2.000 cc ed eliminando la sovralimentazione. Poi Lampredi avanzò la proposta di un quattro cilindri in linea da produrre in due cilindrate differenti (2.000 e 2.500 cc) che avesse una più vasta gamma di utilizzo oltre alla Formula 1. Non era un ipotesi che andasse molto a genio a Enzo Ferrari, perché il quattro cilindri in linea non era un architettura nobile quanto un V12, ma una soluzione che si trovava anche sulle più comuni utilitarie. Alla fine, però, diede via libera a Lampredi che attorno ad un basamento in lega leggera con doppia parete concepì un autentico e raffinato gioiellino da corsa , caratterizzato da un alesaggio di ben 90 mm, il valore più elevato fino ad allora utilizzato in Ferrari, finalizzato ad ottenere una corsa molto corta di 78 mm e una conseguente velocità media del pistone elevata, pari a 19,5 m/sec al regime massimo di potenza di 7.500 giri/min. L'albero motore in acciaio equilibrato poggiava su cinque supporti di banco con cuscinetti a strisciamento "thin wall" della Vanwall, mentre le bielle a doppia T erano in acciaio GNM e i pistoni con disegno a volta in lega leggera.
Lampredi pose particolare attenzione nella progettazione della distribuzione e delle testate ottenendo un disegno molto complesso, ma altrettanto efficace in corrispondenza agli alti regimi che il motore doveva esprimere. Due alberi a camme in testa , mossi da una cascata di ingranaggi, agivano su due valvole per cilindro attraverso un rullino e un bicchierino, che conteneva al suo interno due molle a spirale. Queste ultime erano poi coadiuvate da due molle a spillo, ancorate al gambo della valvola, che aggiungevano robustezza ed efficienza al sistema. Il diametro delle valvole era di 38 mm per quelle di aspirazione e 50 mm per quelle di scarico. I condotti di aspirazione e scarico erano disegnati per favorire la velocità delle miscele in entrata e dei fumi in uscita. Particolarmente interessante il dato ottenuto nella velocità di entrata della miscela, calcolata in 100 m/sec, quando simili motori da competizione erano capaci di velocità di aspirazione non superiori ai 60/65 m/sec. Dopo lunghe prove si arrivò anche ad ottimizzare gli scarichi, accoppiando i collettori sulla base delle coppie formate dall'ordine di accensione, 1-3 e 2-4.
Dato l'elevato valore dell'alesaggio, che determinava una camera di scoppio molto piatta, Lampredi fu obbligato ad adottare la doppia accensione per cilindro comandata da due magneti, ottenendo una migliore combustione della miscela. L'alimentazione, invece, era assicurata da una pompa carburante mossa dall'albero motore e da 4 carburatori monocorpo Weber DOE 45 di tipo motociclistico. Tale scelta era dovuta al fatto che il motore vibrava molto creando problemi ai normali carburatori doppio corpo, ma con il tempo si riuscì poi a tornare a questo tipo, adottando anche guarnizioni in gomma che smorzavano le vibrazioni. L'elevato rapporto di compressione ottenuto in camera di combustione, pari a 13:1, era giustificato dall'utilizzo di miscele speciali con benzene e alcool fornite dalla Shell.
La lubrificazione era a carter secco con un circuito da 12 litri di olio, senza radiatore di raffreddamento e con doppia pompa (mandata e ritorno). Il raffreddamento attraverso acqua era garantito da un circuito di 10 litri e da una pompa meccanica a palette), posizionata anteriormente nel motore, che inviava il liquido ad un capiente radiatore.
Nelle prime prove al banco il propulsore fornì una buona potenza di base che toccava i 160 CV a 7.500 giri/min circa, ma sotto l'effetto di uno sviluppo continuo sarebbe arrivato ad erogare 185 CV al medesimo regime di rotazione massimo.
Attorno a questa potente creatura Lampredi concepì una vettura che si ispirava a criteri di semplicità, pur non rinunciando ad importanti innovazioni che ne miglioravano l'efficienza. Il telaio si componeva di due longheroni a sezione ovale di acciaio cromo-molibdeno, con centine ed elementi di raccordo in acciaio scatolato rettangolare al posto dei tubi tondi utilizzati sulle precedenti Ferrari da corsa. Quattro supporti reggevano il motore anteriormente. nella posizione più arretrata possibile e, sempre alla ricerca di un'ottimale distribuzione del peso, si adottò lo schema transaxle, con il cambio a 4 marce unito al differenziale autobloccante ZF posteriore, mentre la frizione multidisco era accoppiata al motore.
Particolare cura venne posta nella progettazione delle sospensioni, che all'anteriore erano indipendenti con doppi bracci triangolari, balestra trasversale dotata di doppio attacco al telaio, tamponi elastici in gomma e ammortizzatori a leva.
Lampredì contribuì molto a migliorare il comportamento e la struttura del ponte De Dion posteriore, facendolo scorrere lungo un canale verticale del telaio e vincolandolo con due bracci longitudinali di spinta e reazione, evitando così l'irrigidimento del ponte stesso che causava eccessivo sovrasterzo in curva. Questa soluzione era già stata verificata sulla 275 F1 del 1951, dimostrando un netto miglioramento della trazione.
Come sull'anteriore, il molleggio era assicurato da ammortizzatori a leva e da una balestra trasversale montata sotto al ponte e vincolata al telaio su due punti, soluzione che migliorava di molto la tenuta di strada rispetto alle due balestre longitudinali, normalmente utilizzate con lo schema De Dion.
L'impianto frenante idraulico si avvaleva di quattro tamburi in lega leggera da 350 mm di diametro, fascia di 48 mm di larghezza e ganasce autocentranti), mentre lo sterzo era a vite senza fine e ruota elicoidale. Dietro l'abitacolo il grosso serbatoio del carburante con una capacità di 160 litri.
La carrozzeria in alluminio era composta da sei elementi: muso, cofano motore, carenatura abitacolo, coda e fianchetti laterali. Nel complesso una linea che non si discostava molto dalla concorrenza, ma che nel corso della suo sviluppo avrebbe introdotto in Formula 1 l'importante innovazione del muso tronco con il radiatore alloggiato all'interno. Rispetto alle vecchie griglie a vista in alluminio, tale soluzione aumentava la portata d'aria nel cofano motore, migliorando contemporaneamente lo smaltimento del calore da parte del grosso radiatore.
Come le altre vetture frutto di quel compromesso regolamentare, la 500 F2 suonava e figurava molto meno aggressiva delle monoposto utilizzate negli anni precedenti, ma grazie al peso di soli 615 Kg a vuoto e circa 800 Kg a pieno carico, viaggiava pur sempre a circa 250 Km/h.
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Il debutto della 500 F2 avvenne già nel settembre del 1951, in uno di quegli eventi minori che in quel tempo erano ancora possibili e consentivano anche a centri secondari l'organizzazione di un Gran Premio. In quel caso si giocava in casa perché si trattava del GP di Modena, dove Alberto Ascari e il fido amico e scudiero Gigi Villoresi furono schierati sulla nuova vettura, mentre Gonzalez si presentò con una 12 cilindri 2 litri della Scuderia Marzotto. Vinse subito "Ciccio" Ascari, dimostrando un feeling tutto particolare con la nuova vettura, che pareva gli fosse stata cucita addosso; Villoresi fu invece costretto al ritiro. La macchina presentata a Modena non aveva ancora il muso tronco, ma la solita griglia in alluminio leggermente convessa, mentre nell'aspetto assomigliava molto alla vecchia 4.500. Il motore dava già 170 CV evidenziando i miglioramenti rispetto alle prime prove al banco.
Durante l'inverno la macchina fu semplificata nella carrozzeria, mentre si lavorò sul profilo delle camme e sui carburatori per spremere più potenza dal quattro cilindri. Si permise inoltre ad alcuni piloti privati di poter acquistare la monoposto e così si misero in produzione telai che avevano una numerazione pari, diversa dalle altre e legata alla produzione delle Sport e Gran Turismo da competizione. Tra i privati che ebbero questo privilegio ci fu il gentleman Louis Rosier, che dipinse la vettura di blu in omaggio alle sue origini francesi e Jacques Swaters, pilota, fondatore della scuderia Francorchamps e futuro importatore di Ferrari per il Belgio, che arrivò poi a gestire fino a due macchine dipinte di giallo, alternandosi alla guida con Charles de Tornaco (che morì in una sessione di prove a Modena nel 1953 con la 500 F2) e con Roger Laurent. Una terza macchina fu venduta all'Ecurie Espadon, che riuniva alcuni piloti privati svizzeri tra cui si distinsero Rudi Fischer, imprenditore nel campo della ristorazione e Peter Hirt, titolare di un'industria di strumenti di precisione per lavorazioni meccaniche.
I piloti ufficiali a disposizione per la nuova stagione erano Alberto Ascari, Gigi Villoresi, Piero Taruffi e Nino Farina, proveniente dall'Alfa Romeo. Inoltre, di tanto in tanto avrebbe fatto la sua comparsa il pilota francese André Simon. In compenso Froilan Gonzalez lasciò la Ferrari, allettato da una migliore offerta della Maserati. La delicata carica di Direttore Sportivo era occupata dal leggendario maestro Nello Ugolini, dirigente calcistico e automobilistico, artefice di tanti successi del cavallino e capace di gestire in maniera ottimale i così tanti esuberanti talenti a disposizione. La stagione prese il via con l'appuntamento fuori campionato di Siracusa, dove vennero mandati tutti e quattro i piloti, anche se a imporsi fu Ascari davanti a Taruffi e Farina, mentre Villoresi dovette fare i conti con il ritardo causato da un principio d'incendio. A Pau, sempre fuori campionato, le 500 F2 si presentarono con nuovi collettori di scarico separati per ogni cilindro e confluenti in uno terminale unico. Vinse Ascari, mentre Villoresi sperimentava la vera piaga della monoposto: il surriscaldamento dei magneti. Il debuttante Scotti si fece invece squalificare per comportamento scorretto, mancando l'occasione di far bella figura.
Da Pau si passò a correre a Marsiglia dove, tanto per cambiare, vinse ancora "Ciccio" Ascari, anche se questa volta dovette sudare sette camicie per contenere lo scatenato Nino Farina, che finì per autoeliminarsi con una delle sue spaventose uscite di pista. Sfortunato Gigi Villoresi, ancora alle prese con noie meccaniche. Al IX Gran Premio di Napoli, invece, Nino Farina sfruttò l'assenza di Ascari e Villoresi per vincere davanti al compagno Taruffi.
Il 18 maggio con il GP di Svizzera, corso sul circuito di Bremgarten, prese ufficialmente via il Mondiale e lo squadrone Ferrari segnalava l'assenza di Gigi Villoresi e del suo uomo di punta, Alberto Ascari, impegnato alla 500 Miglia di Indianapolis con la 375 Indy da 400 CV. L'impresa americana non si concluse però felicemente: dopo aver ben figurato in prova ed essersi portato fino al 7° posto in gara, la ruota posteriore destra si sfilò dal mozzo al 41° giro, andandosene per conto suo. Del resto, già durante le prove ci si era accorti che il tallone d'Achille della vettura era proprio costituito dalle ruote a raggi Borrani, che nei veloci curvoni sopraelevati pativano le accelerazioni laterali deformandosi. In Svizzera, contro una concorrenza che contava piloti importanti, ma uno schieramento di monoposto non molto competitive e di scarso blasone, la Ferrari non ebbe problemi a monopolizzare la griglia di partenza: Nino Farina risultò imprendibile girando in 2'47"5 e conquistò la pole davanti a Taruffi. Al terzo posto la Gordini di Manzon, unico degli "altri" ad issarsi così in alto, pur girando con quasi cinque secondi di ritardo su Farina. In seconda fila si schierarono altre due Ferrari con Fischer e Simon. Nello schieramento la Ferrari occupava anche le ultime due posizioni, con Rosier e Hirt, che però correva su una vecchia 212 della Ecurie Espadon. Da notare che la 500 F2 si presentava qui con un muso modificato e caratterizzato da una nuova griglia a maglia fitta e da un lamierino che ne limitava la portata d'aria verso il cofano motore. In gara Farina partì in testa, ma poi si ritrovò con l'impianto elettrico che faceva le bizze e fu costretto al ritiro dopo appena 17 giri, lasciando la testa della corsa a Taruffi, il quale vinse davanti a Fischer e alla Gordini di Jean Behra. Hirt concluse settimo e penultimo, mentre Rosier e Simon si ritirarono. Dopo la parentesi svizzera si tornò a correre fuori campionato a Monza, e in questa occasione la Ferrari presentò il famoso e definitivo muso tronco, privo di mascherina e con il radiatore intubato all'interno. Farina si rifece della sfortuna patita nell'ultima corsa e vinse davanti a Simon e Fischer, facendo segnare il record assoluto della pista alla media di 179,430 Km/h. Ritirati Ascari e Villoresi per noie al motore. Ma era comunque destino che venisse il tempo di "Ciccio", soprannome probabilmente affibbiatogli dal noto giornalista Gianni Brera, riferendosi alla sua robusta corporatura e pertanto suscitando in Ascari un po' di fastidio: purtroppo la brillante penna del Corriere della Sera pareva aver colto nel segno e il nomignolo gli rimase appiccicato.
L'era di Ascari si aprì con il Gran Premio d'Europa sul circuito di Spa Francorchamps, dove già in qualifica risultò inavvicinabile e conquistò la pole. In gara, sotto al diluvio, l'italiano martellò gli avversari fino alla bandiera a scacchi, conquistando anche il giro più veloce. Dietro a lui si piazzò Farina, mentre Taruffi fu costretto al ritiro da un'uscita di pista. Settima la Ferrari privata di de Tornaco, mentre quella di Rosier non vide il traguardo. Da notare il quarto posto del debuttante Mike Hawthorn su una Cooper-Bristol, destinato ad un brillante futuro in rosso.
Prima del Gran Premio di Francia a Rouen si corse a Reims, dove la Ferrari 500 F2 incassò una brutta sconfitta dalla Gordini a 6 cilindri di Jean Behra, che sulla pista di casa risultò imprendibile. Le vetture francesi non mantennero però le premesse nel GP valido ai fini del mondiale, anche perché nel frattempo le 500 F2 ufficiali avevano subito un'altra importante modifica con lo spostamento dei magneti dalla parte posteriore del motore a quella anteriore, dove venivano più efficacemente raffreddati dall'aria che aveva appena attraversato il radiatore. Lo spazio liberato da questa modifica consentì di arretrare ulteriormente il 4 cilindri, a tutto beneficio della distribuzione della masse. A Rouen, dunque, si impose ancora Ascari, che conquistò pole position e gara davanti a Farina e a Taruffi. La corsa francese, tra le altre cose, non aveva un limite di giri ma un limite di tempo stabilito in 3 ore, nelle quali "Ciccio" effettuò 77 giri per un totale 386,54 Km. Alla corsa erano schierate anche le 500 F2 private di Fisher - Hirt (11°) e Rosier (ritirato), oltre alle 166 F2 della Scuderia Marzotto, affidate a Comotti (12°) e Carini (ritirato).
Dopo il Gran Premio ufficiale si tornò a correre fuori campionato in Francia, a Sable d'Olonne, dove finalmente s'impose Gigi Villoresi. Nel successivo Gran Premio d'Inghilterra, sul veloce circuito di Silverstone si registrarono ben 32 monoposto iscritte, suddivise tra Ferrari, Maserati, Gordini e i tanti costruttori inglesi che erano approdati nel mondiale come Connaught, Hwm, Cooper Bristol e Aston-Butterworth. Farina conquistò la pole, ma al via della corsa si fece beffare da Ascari, che trovandosi nella condizione psicologicamente preferita, cioè in testa, sparì e fece gara per conto suo, lasciando gli altri ad un giro. Farina dovette poi retrocedere fino al sesto posto per noie meccaniche e Taruffi si piazzò secondo, davanti al primo degli inglesi e degli "altri", il sempre più sorprendente Mike Hawthorn. Come sempre c'erano anche le monoposto dei clienti, con le quali Roy Salvadori finì 8°, Whitehead su Ferrari 125 10°, Fischer 14°, mentre Hirt con la 212 si ritirò per noie ai freni.
In Germania, sul circuito del Nurburgring si registrò la stessa massiccia partecipazione di vetture che c'era stata al precedente GP d'Inghilterra, ma furono ancora le Ferrari a decidere i destini della corsa: Ascari conquistò pole, vittoria, giro più veloce e titolo mondiale. Dietro a lui si piazzarono Farina, Fischer e Taruffi, mentre Laurent chiudeva al 6° posto. Su sette macchine al traguardo solo due non erano Ferrari: Behra con la Gordini al 5° posto, e Riess con la Veritas al 7°. Dietro un inferno di cambi e motori che rendevano l'anima al cielo, di freni che cessavano di funzionare e di sospensioni che cedevano: su 30 monoposto qualificate, 23 si persero lungo i 22 terribili chilometri del Nurburgring e non videro mai il traguardo.
Al Gran Premio d'Olanda la Ferrari mandò Ascari, Farina e Villoresi, ma ad imporsi fu ancora il neo campione del mondo, che fece suo un altro Hat Trick (pole + vittoria + giro più veloce). Farina e Villoresi si spartirono il secondo e il terzo posto, mentre la Ferrari privata di de Tornaco non concluse per rottura del motore.
Così Ciccio poteva presentarsi al Gran Premio d'Italia, a Monza, due passi dall'amata Milano, come Campione del Mondo. Non deluse il folto pubblico che venne a festeggiarlo e conquistò ancora la vittoria. Ma questa volta se la dovette sudare perché Gordini e Maserati si fecero sotto. In prova la Ferrari piazzò Ascari, Farina e Villoresi ai primi tre posti, con la Gordini di Trintignant in quarta posizione e in prima fila. Taruffi si qualificò solo sesto, dietro alla Maserati di Froilan Gonzalez, detto "el Cabezon". In gara fu proprio l'argentino a saltare in testa, spremendo a tal punto la sua Maserati a sei cilindri in linea da sembrare imprendibile per buona parte della corsa. La pattuglia di inseguitori era guidata da Alberto Ascari, che inizialmente perse parecchio terreno per un maggior peso e per la minore potenza della sua monoposto rispetto alla A6GCM dell'argentino. A decidere la gara furono poi i serbatoi: la Ferrari con un capacità di 160 litri poteva arrivare tranquillamente al traguardo, ma le Maserati imbarcavano soltanto 80 litri ed era quindi necessaria una sosta. Dopo il pit stop Gonzalez si ritrovò quindi 4° e con più carburante degli altri: riuscì ugualmente a "sverniciare" Farina e Villoresi, ma di pigliare Ascari in testa nemmeno a parlarne. Per una straordinaria coincidenza Gonzalez e Ascari condivisero il giro veloce alla stessa media (179, 876 km/h).
Per festeggiare, Ciro Verratti sparò sul Corriere della Sera un elogio del pilota milanese da strappare le lacrime: "lo abbiamo visto vincere delle corse in pura audacia, cioè conquistare delle vittorie alla Nuvolari, quando un uomo, dimenticando ogni consiglio di prudenza, dimenticando che si vive una sola volta e che anche le macchine hanno un loro limite di resistenza, si lancia a corpo morto in una battaglia disperata; lo abbiamo visto vincere alla Varzi, cioè con una perfezione di stile che ha del fiabesco, con una lievità quasi aerea che è il segno della padronanza assoluta del proprio mezzo meccanico, il segno che l'arte della guida non ha più alcun segreto per il pilota." Così, per Verratti Ascari era la sintesi delle migliori qualità di Nuvolari e Varzi, il campione perfetto ed equilibrato nelle sue doti.
Al Gran Premio di Modena ci fu nuovamente grande battaglia con le Maserati e in particolare tra Gonzalez e Ascari, finché l'italiano non fu costretto a ritirarsi a causa di noie alla lubrificazione. A quel punto le sorti del cavallino rimasero nelle mani dell'astuto Villoresi che, quando ormai tutto sembrava perso, infilò Gonzalez nella curva più difficile del tracciato e andò a conquistare la vittoria.
Villoresi, anni dopo, ebbe modo di ricordare così la 500 F2:"Pregi della 500 erano la sincerità, la sicurezza, la solidità, una vera auto per vincere, insomma. Quando il pilota "tirava", essa lo seguiva, perchè era molto ben bilanciata e armonica. Il telaio era adatto al motore, e questo non era esuberante rispetto al telaio, e se doveva "partire" te lo diceva un bel po' prima: guarda che vado, guarda che vado.[] Era una macchina onesta, una macchina "fabbrica vittorie".
La stagione '52 si concluse con la gara di Formula 2 sul circuito dell'Avus: in una Berlino un po' paradossale, dove capitalismo e comunismo s'incontravano ancora senza barriere e dove meglio che in ogni altro posto si potevano vedere e valutare le differenze tra due sistemi politici, Rudi Fischer con la sua 500 F2 privata riuscì ad imporsi davanti agli avversari, alcuni provenienti perfino dalla DDR, chiudendo in bellezza una carriera di breve durata, ma non priva di buone prestazioni.
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Nell'inverno tra il 1952 e il 1953 la 500 F2 non ebbe bisogno di grosse modifiche e l'unico cambiamento apportato fu l'allungamento del muso . In squadra Taruffi fu sostituito dall'arrembante e giovane Mike Hawthorn, che andò ad affiancare i confermati Ascari, Villoresi e Farina. Il ragazzo inglese era una combinazione di signorile eleganza, con la sua mise da corsa che prevedeva sempre il farfallino, ma anche di scaltrezza, opportunismo e disinvoltura: la dimostrazione vivente che l'abito non fa il monaco. Del resto non poteva essere diversamente per un uomo che amava giustificarsi con il motto "Life is short", e pertanto consapevole che quella vita andava goduta a fondo e messa a frutto rapidamente.
La presenza in campionato di numerosi piloti argentini, permise al governo peronista di ottenere un Gran Premio ufficiale in Argentina, da corrersi sul circuito di Buenos Aires. Juan Manuel Fangio, assente nel mondiale del 1952, si presentò al via con la Maserati, tenendo a far bene davanti al suo pubblico: in qualifica riuscì ad infilarsi tra le Ferrari, cogliendo la seconda posizione alle spalle di Ascari e davanti a Villoresi e Farina, ma in gara dovette cedere al 39° giro per noie alla trasmissione. Ascari vinse davanti a Villoresi, alla Maserati di Gonzalez e all'altra Ferrari di Hawthorn. Farina, invece, fu vittima di uno dei suoi celebri e terribili incidenti e questa volta persero la vita nove persone tra il pubblico e una quarantina finirono all'ospedale.
Nella tradizionale gara di Siracusa le Ferrari patirono la rottura delle valvole e nessuno delle quattro macchine iscritte riuscì a vedere il traguardo, ma al successivo Gran Premio di Pau Ascari tornò a vincere davanti ad Hawthorn, mentre Farina danneggiava la sospensione in una delle sue divagazioni. A Bordeaux una squadra di tre Ferrari 500 F2 guidate da Ascari, Villoresi e Farina, affrontò altrettante Gordini, portate in corsa da Fangio, Schell e Trintignant: poteva essere una specie di mezzogiorno di fuoco, ma la superiorità delle macchine italiane permise ad Ascari di aggiudicarsi la corsa davanti all'amico e compagno di squadra Villoresi, mentre Farina fu costretto al ritiro da noie al motore. A Silverstone, invece, fu mandato il solo Hawthorn che si impose agevolmente sulla nutrita concorrenza.
Venne quindi la volta del secondo Gran Premio stagionale valido per il titolo mondiale: Zandvoort, Olanda. In prova Ascari si mise dietro la Maserati di Fangio e i compagni Farina e Villoresi, mentre Hawthorn si qualificò al sesto posto dietro a Gonzalez. In gara Fangio partì come un fulmine, ma la trasmissione della sua Maserati lo lasciò a piedi e Ascari, portatosi in testa, cominciò la solita fuga solitaria. Villoresi, autore del giro più veloce, avrebbe potuto chiudere alle sue spalle ma un malessere lo obbligò a fermarsi, lasciando la posizione a Farina. Hawthorn chiuse al quarto posto dietro a Gonzalez, mentre la Ferrari privata di Rosier concluse settima.
Ascari fece suo anche il Gran Premio del Belgio, ma le Ferrari dovettero ancora scontrarsi con le Maserati A6GCM: la prima fila della griglia di partenza vide il pilota italiano pizzicato in mezzo al poleman Fangio e a Gonzalez. Dietro Farina accanto a Villoresi, mentre in terza fila si trovavano Marimon, il terzo argentino della Maserati, Hawthorn e Trintignant con la Gordini. Rosier con la 500 F2 privata era come al solito molto più indietro, al 12° posto in griglia. Pronti, partenza, via! In testa andò subito Fangio seguito da Gonzalez, mentre Ascari, Villoresi e Farina erano costretti all'inseguimento. La fuga delle Maserati durò una decina di giri, poi Gonzalez all'11° giro dovette mollare per guasto all'acceleratore, mentre al 13° giro toccò abbandonare a Fangio per noie al motore. L'argentino non si arrese e rientrato ai box convinse gli uomini della Maserati a fermare Claes e a fargli cedere la monoposto. Fangio si ributtò nella mischia, ma di andare a beccare Ascari e Villoresi, neanche a parlarne. Per troppa foga l'argentino si eliminò poi con un'uscita di strada. Hawthorn si tenne fuori dalla mischia e concluse sesto, davanti alla Gordini di Schell e all'altra Ferrari di Rosier.
In Francia, sul circuito di Reims, ci fu il momento magico del biondo ferrarista inglese: per le tre ore di gara "the Farnham flyer", come era stato soprannominato in patria Mike Hawthorn negli anni del suo debutto, si batté testa a testa con le Maserati di Fangio e Gonzalez. Esiste una fotografia scattata sul traguardo che ritrae la Ferrari dell'inglese appena avanti alla Maserati di Fangio: i due piloti artigliano i grossi volanti di legno e alluminio, le loro teste sono incassate tra le spalle e leggermente chine in avanti per favorire la velocità dei loro bolidi. Hawthorn ha il suo inconfondibile caschetto con la visiera integrale e la giacca a vento gonfia per l'aria incamerata in velocità. Fangio, invece, quasi sparisce dietro al piccolo parabrezza della sua macchina e gli occhialoni sono calati sotto al naso. Dietro un muretto di protezione si intuisce l'entusiasmo e la tensione della folla affacciata sulla pista, che assistete attonita a quell'imprevedibile lotta tra le due macchine così vicine. A soli 24 anni Mike Hawthorn portava a casa la sua prima vittoria titolata, primo inglese ad affermarsi in un corsa di Formula 1, un po' aiutato nella sua impresa dalla meccanica di Fangio, che negli ultimi giri rimase senza la prima marcia. I compagni di squadra Ascari, Farina e Villoresi arrivarono rispettivamente quarto, quinto e sesto. Hawthorn s'impose anche nel successivo Gran Premio dell'Ulster, confermando il buon momento che stava attraversando, mentre Jacques Swaters portò la sua gialla Ferrari privata alla vittoria nel GP dell'Avus. Si narra che il pilota belga, nell'estate di quell'anno, essendosi recato a Maranello per ritirare la 500 F2 sottoposta ad un intervento di manutenzione ed essendo sprovvisto di una bisarca o carrello rimorchio, compisse il viaggio fino a Bruxelles con la monoposto stessa, priva di fari e di targa, attraversando addirittura piazza del duomo a Milano e lasciando con un palmo di naso le guardie di frontiera, nel passare sotto alle sbarre abbassate della dogana.
Nel Gran Premio d'Inghilterra a Silverstone riemerse la classe di Ascari, che si aggiudicò la pole davanti a Gonzalez, Hawthorn e Fangio. In seconda fila si trovavano invece le due Ferrari di Farina e Villoresi e la Maserati di Marimon. La 500 F2 di Rosier, invece, non andò oltre al 24° posto in griglia. Fu un'altra gara all'Ascari, con il pilota italiano in fuga e gli altri ad arrancare dietro: rifilò un minuto di distacco a Fangio, 1 giro a Farina, 2 a Gonzalez, con cui dovette ancora una volta condividere il giro più veloce e 3 ad Hawthorn, che aveva perso tempo in un'uscita di strada a Woodcote. Il distacco di Rosier, 10° e ultimo, fu di ben 12 giri dal vincitore. Lo sfortunato Villoresi patì l'ennesimo guasto, questa volta al differenziale.
Lo schieramento al Gran Premio di Germania contava come al solito un elevato numero di monoposto, ben 34, ma i vertici della griglia di partenza erano monopolizzati dalla Ferrari e dalla Maserati: la pole andò ad Ascari davanti a Fangio, Farina e Hawthorn. Villoresi si ritrovò 6° e in seconda fila, pizzicato tra la Maserati di Bonetto e la Gordini di Trintignant. Tra i privati la Ferrari contava Swaters 19°, Rosier 22° e Adolff 27° con la 166C dell'Ecurie Espadon. Al via della corsa Fangio balzò in testa, ma la sua fuga non durò molto: il telaio della sua Maserati, infatti, era ancora inferiore a quello della Ferrari e in una pista con varietà di curve e situazioni come quella del Nurburgring, le doti comportamentali della macchina contavano più della potenza del motore. L'argentino non poté resistere al ritorno di Farina, magnificamente assistito dalla sua 500 F2, il quale andò così a vincere l'ultimo Gran Premio iridato della sua carriera. Hawthorn concluse al 3° posto dietro a Fangio, mentre Ascari fu tradito dal motore; salito sulla macchina di Villoresi si ributtò in un disperato inseguimento, facendo segnare il giro più veloce, ma non ne uscì che 8° al traguardo, dietro alla Ferrari di Swaters. Poco più indietro Rosier, 10°, mentre Adolff fu costretto al ritiro per noie alla trasmissione.
Al Gran Premio di Svizzera Ascari cercò di chiudere la questione mondiale, ma si vide sfilare la pole da Fangio per 5 decimi. Al via, però, l'italiano riuscì a prendere la testa della corsa e soltanto un guasto elettrico minacciò di rovinare la festa ad Ascari. L'intervento del box fu veloce quanto efficace e in pista Farina e Hawthorn fecero gioco di squadra, lasciandosi sfilare dal pilota milanese per poi concludere alle sue spalle. Fangio, che aveva dovuto saltare sulla Maserati di Bonetto per la rottura del suo motore, finì al quarto posto, non sufficiente ad alimentare le residue speranze mondiali.
Per il secondo anno consecutivo Alberto Ascari si presentava Campione del Mondo al Gran Premio d'Italia, dove però lo attendeva una sorpresa amara. A Monza la Ferrari portò oltre alle 500 F2 per Ascari, Villoresi, Farina e Hawthorn, anche due macchine nuove con un quattro cilindri derivato da quello in uso, ma con una corsa accorciata a 73,5 mm e un conseguente alesaggio di 93 mm. Le nuove misure avevano consentito di utilizzare valvole dal diametro più grosso e pertanto Lampredi aveva disegnato una nuova testata che manteneva sempre gli stessi principi del motore 500. La macchina oltre al telaio a traliccio con tubi tondi più fitti, presentava anche i serbatoi laterali per ottenere una migliore distribuzione dei pesi. Questa monoposto non era altro che una prova generale delle soluzioni che sarebbero state adottate per la Formula 1 del 1954, la 625 F1, con i motori da 2.500 cm3. Il tecnico della Ferrari, infatti, era ben cosciente che l'annunciato arrivo di Mercedes e Lancia nel mondo dei Gran Premi avrebbe cambiato i parametri di competitività e quindi desiderava perfezionare il più possibile le sue monoposto; il circuito brianzolo, in questo senso, rappresentava sicuramente un ottimo banco di prova, soprattutto per la meccanica. In qualifica Ascari conquistò la pole davanti a Fangio e Farina; in seconda fila si trovavano Marimon, Villoresi e Hawthorn. Umberto Maglioli portò la nuova Ferrari all'11° posto in griglia, mentre Carini con la gemella non andò oltre la 20a posizione, dietro perfino a Rosier che si qualificò 17°.
Alla partenza Ascari balzò in testa davanti a Farina, Marimon e Fangio, che aveva avuto qualche esitazione al via. Questo gruppetto di testa dominò la corsa fino alla fine, ma nell'ultimo passaggio in Parabolica Ascari, che conduceva con una decina di metri di vantaggio, si ritrovò tra i piedi la HWM di Fairman che procedeva lentamente e gli toccò innescare un testacoda per non finirgli addosso. Marimon, che procedeva alle spalle, non fu altrettanto abile e centrò la Ferrari di "Ciccio", mentre quella di Farina divagava per prati cercando di evitare guai. Così Fangio trovò il buco per infilarsi e proporsi vincitore al traguardo davanti a Farina, Villoresi e Hawthorn. Maglioli, intanto, portava la macchina nuova all'8° posto, mentre la gemella di Carini fu ritirata per noie elettriche; Rosier con la 500 F2 privata concluse 16° e ultimo. Il finale rocambolesco lasciò con la bocca amara il pubblico e sorprese perfino lo stesso Fangio, che andò sportivamente a consolare Ascari, beffato dalla sfortuna. Era forse il segno che le cose per il pilota italiano e per la Ferrari stavano per cambiare.
Il 1954, infatti, si sarebbe rivelato un anno pieno di delusioni: la Ferrari perse Ascari e Villoresi, attirati alla Lancia con ricchi ingaggi e progetti ambiziosi; dalla Germania calarono le frecce d'argento, le famose Mercedes W196 con il motore a iniezione diretta, con le quali Fangio monopolizzò per due anni consecutivi il Campionato di Formula 1; le quattro cilindri progettate da Lampredi non furono mai abbastanza competitive per sostenere il confronto con le sofisticate Mercedes, nonostante i ripetuti sforzi. E questo finì per incidere nel rapporto tra il progettista ed Enzo Ferrari. "A quell'epoca le Ferrari erano così, dei cannoni montati su una putrella. Grandi motori, grandi potenze e niente telaio. Era un po' la filosofia del Vecchio, che a quell'epoca l'ingegner Lampredi assecondava alla perfezione." sintetizzò poi il pilota Gino Munaron anni dopo, facendo il punto sulla situazione tecnica della Ferrari in quel periodo. "Era un grande tecnico l'Aurelio, un ottimo motorista, ma non aveva neanche la patente di guida, non sapeva cosa volesse dire guidare una macchina. Poi arrivò Massimino con la sua troupe di maseratisti e le cose migliorarono moltissimo." In questo senso, la 500 F2 aveva rappresentato per lo stesso Lampredi il perfetto equilibrio tra motore e un telaio in grado di assecondarne e utilizzarne al meglio la potenza.
Quell'equilibrio magico fu rotto l'anno successivo, quando per mantenere le monoposto dei clienti competitive nella nuova formula, la Ferrari sostituì il motore da 2 litri con il 4 cilindri in linea tipo 625 da 2500 cc. I cavalli salivano a quota 260 a 7.200 giri/min, ma contro le Mercedes, le Maserati e le Ferrari ufficiali non c'era storia. Rosier e Swaters continuarono a proporsi con queste monoposto anche nel 1954, ma entrambi non andarono oltre a un 8° posto, che il francese conquistò al Gran Premio di Germania e il belga al Gran Premio di Svizzera. Nelle corse fuori campionato c'erano più possibilità di ben figurare e infatti Reg Parnell, con la sua monoposto verniciata british green, riuscì ad imporsi nel GP di Aintree, sotto la pioggia. Queste macchine rimasero in circolazione fino al Gran Premio di Argentina del 1957, quando la Scuderia Centro Sud iscrisse una 500/625 per il pilota argentino Alejandro de Tomaso, il quale giunse 9° al traguardo: dopo il colpo di stato militare del 1955, il giovane oppositore al regime peronista, che aveva dovuto cambiare aria e rifugiarsi in Italia a causa del suo attivismo e delle sue idee, aveva ormai lasciato perdere la politica e il baricentro dei suoi interessi si era spostato sulle macchine da corsa. In Emilia lo aspettava una carriera come costruttore di macchine sportive e come industriale.
Intanto il maggiore interprete della 500 F2 era mancato: nel 1955, dopo il famoso tuffo nel porto di Montecarlo con la bella e raffinata Lancia di Formula 1, progettata da Vittorio Jano, Ascari si presentò una mattina a Monza, invitato da Eugenio Castellotti che stava provando la nuova 750 Monza, e finì per mettersi al volante della vettura sport in maniche di camicia e con il casco dell'amico: nella curva del Vialone la macchina scartò verso sinistra e cominciò una serie di rovinosi ribaltamenti che non lasciarono scampo a "Ciccio".
Fiumi d'inchiostro furono versati per sottolineare tutte le strane coincidenze che collegavano la morte di Alberto Ascari con quella altrettanto drammatica di suo padre Antonio, celebre asso dell'Alfa Romeo, perito durante il GP di Francia nel 1925. Si parlò dell'Alberto Ascari superstizioso, che mettendosi al volante di quella macchina aveva dimenticato tutti i suoi riti scaramantici e i suoi talismani contro la sfortuna. Ma a ben guardare, in quell'incidente ci fu un'altra strana coincidenza: la 750 Monza, oltre ad essere una bara volante che nella sua sanguinosa carriera mieté la bellezza di 17 morti (tra cui anche Louis Rosier), era equipaggiata con un motore 4 cilindri che era figlio del fortunato propulsore con il quale Ascari aveva vinto i suoi due titoli mondiali: in qualche modo, nella sua ultima macchina c'era qualcosa della monoposto con cui entrò più in simbiosi e che lo lanciò definitivamente fra i grandi. Quasi un estremo saluto.
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